La storia del Santuario di S. Maria dei Miracoli ha inizio con la scoperta della laura basiliana di S. Margherita in lama. Era il 10 marzo 1576, di sabato, quando Giannantonio Tucchio, accompagnato dall’avv. Annibale Palombino e da un ragazzo, Giulio da Torrito, spintovi dalle indicazioni della Vergine venutagli in sogno, entrò nella grotta di S. Margherita, scoprendo la suggestiva immagine bizantina della Madonna col Bambino, incoronata da 12 stelle e avente a destra il sole (simbolo di Cristo) e a sinistra la luna (simbolo della Vergine).
Da allora in poi, di fronte al ripetersi di miracoli, tale fu il concorso dei fedeli, che il Vescovo di Andria, mons. Luca Fieschi, insieme con il duca d’Andria Fabrizio II Carafa e tutto il clero, si recò il 6 giugno successivo per celebrare una Messa di ringraziamento alla Vergine invocata come “S. Maria dei Miracoli d’Andria”.
Si pensò allora di affidare la “grotta” ai Padri Benedettini cassinesi, della Chiesa dei SS. Severino e Sossio di Napoli. Costoro costruirono dapprima la Chiesa intermedia detta “della Crocifissione”; poi, di fronte all’aumento sempre crescente dei pellegrini, nella prima metà del ‘600 chiamarono l’architetto bergamasco Cosmo Fonzaga perchè costruisse la Chiesa superiore. Nel frattempo si stava provvedendo alla costruzione del grande Monastero, oggi sede dell’Istituto Tecnico agrario Provinciale “Umberto I”.
Le cronache registrano parecchi episodi legati ai grandi benefattori del Santuario, fino al coinvolgimento dei Benedettini nel famoso assedio di Andria del 1799 da parte dei francesi, al tempo della Repubblica partenopea.
Quando Giuseppe Bonaparte, re di napoli, emanò la legge sulla soppressione degli Ordini religiosi (1807), il Monastero fu confiscato, la chiesa dissacrata e i monaci espulsi. Tuttavia, Gioacchino Murat, succeduto al Bonaparte, dietro le insistenze del Vescovo, mons. Lombardi, autorizzò l’apertura seppure limitata della Chiesa
SAN GIUSEPPE DA COPERTINO AD ANDRIA Nel Capitolo di Bitonto tenutosi nel giugno del 1634, era stato eletto il Padre Maestro Antonio da Santo Mauro. Il nuovo Superiore Maggiore godeva fama di «huomo di molta bontà e semplicità, assai zelante dell’onore della Religione». Era stato ritenuto così pieno di virtuose abitudini da essere nominato Maestro dei Novizi per il Sacro Convento di Assisi. Destava meraviglia per le sue lunghe orazioni, per il continuo meditare. La Religiosa Provincia di San Nicola, che comprendeva allora tutto il Salento, la Puglia fino a Barletta e parte della Lucania, godeva di uno stato di floridezza tale, che il biografo contemporaneo non teme di definirla «molto opulenta».
Personalmente, il Padre Da Santo Mauro ardeva «di una sviscerata carità verso il prossimo» e, sia nell’impegno di predicatore che nel nuovo incarico di Provinciale, «era caritativo al punto tale che dava tutto quello che haveva». Né si vergognava, come seguace del Poverello, di andarsene in giro con una tonaca spesso lacera e rattoppata. Scrive il Roncalli «Di grande austerità nel dormire, contento delle nude tavole, di molta assidua e quasi continua orazione, nulla curando di se medesimo, che quantunque fosse un predicatore molto stimato, e che perciò riceveva molte elemosine, tutto spendeva a beneficio dei poveri e dell’Ordine. Andava per se stesso lacerato nell’abito, e tanto malamente vestito che ne veniva proverbiato (preso in giro) e ritenuto come un pezzente».
Era col buon esempio che il neo eletto si era prefisso di governare il gregge, che superava allora il numero di cinquecento frati, sparsi in una quarantina di conventi. Ma erano successi degli scandali in quegli ultimi anni e un rimedio si rivelava necessario. Fra il groviglio dei rimedi il nuovo Provinciale sentiva farsi strada lentamente un pensiero. L’esempio di quel santo, fatto di modestia e di semplicità, avvalorato dalle estasi e da quegli occhi che tutto vedevano attraverso la Profezia, avrebbe potuto risvegliare nei tiepidi quel tanto di fervore da incamminarli verso la perfezione. Una visita di Giuseppe in tutti i conventi avrebbe ridato «onore all’habito» bigio dei Conventuali. Alla Grottella doveva esserci una certa euforia per la visita del Superiore. Un frate, in vena di scherzi, aveva accomodato una rosa all’orecchio di Giuseppe, che attendeva in anticamera di essere ricevuto. Il sant’uomo non ebbe la libertà di spirito di levarsela con semplicità. La lasciò lì per desiderio di essere trattato da scemo. «O che porta Padre Giuseppe all’orecchio!?» – dicevano infatti i confratelli che andavano e venivano. Un atto di umiltà ben più pesante gli chiese però il suo Provinciale, che testimoniarà più tardi del Santo: «Lo viddi a Copertino, e innamoratomi della sua gran Virtù, lo pigliai per mio compagno nella visita, e lo conduceva con me per tutte le Città e Terre, più per dare esempio alla gente (come accadeva), che per mio servizio. Arrivato con me in Chiesa, subito era rapito in Estasi. Per strada andava sempre à piedi, benche Io gli avessi offerto il Cavallo, solito darsi à tutti i Compagni per la lunghezza del viaggio. Non volle, nè ricevere, nè vedere Denari, che gli spettavano per il Vestiario. Per strada camminava sempre estatico, sicché d’ogni cosa naturale si serviva come di scala alle soprannaturali. Io visitavo, e predicava con le parole, ed egli con i fatti, e con la vita e diede à molti Frati occasione di riforma».
Alla fine il Provinciale, affinché« la gente restasse altrettanto edificata della sua esemplarità di vita come era restata scandalizzati per gli scandali occorsi» (Nuti) ordinò a fra Giuseppe di visitare, accompagnato da fra Ludovico da Conversano, tutti i conventi della Provincia.
Sostando due o tre giorni in ogni località e consumandone altri per il viaggio a piedi, egli resterà quasi un anno lontano dalla Grottella. Un viaggio che doveva rivelarsi assai penoso e pieno di disagi, come ci narra il Roncalli: «Assai spesso si verificava che egli giungendo molte volte di notte, talora tutto bagnato dalla pioggia, e spesso molto sudato per il gran caldo del giorno, non trovava chi gli venisse incontro in tali bisogni, poiché nonostante fosse molto celebre e molto ben noto il suo nome, non era a tutti riconosciuto dall’aspetto; onde benché ne godesse sommamente lo spirito vedendo impiegati i suoi sudori per l’adempimento della divina Volontà, riconosciuta da lui in quella del Superiore, non è però che il corpo molto non ne patisse,; ma quando veniva riconosciuto, non solo i religiosi, ma i gentiluomini, gli osti medesimi e le loro famiglie, lo ricevevano non solamente volentieri, accarezzandolo ed alimentandolo gratuitamente, ma lo fermavano anche con devozione e venerazione, come meglio potevano nelle loro case, ma per lui queste delicatezze nei suoi confronti erano causa di maggiore afflizione… Un numero sempre maggiore, si accompagnava a lui in devota moltitudine, lo circondava al punto che non poteva muovere un passo ed era costretto a fermarsi, e per non rendere infruttuoso il tempo, favellava con essi delle cose di Dio, procurando di suscitare in loro un vivo desiderio di bene operare.
Volendo però schivare, per quanto gli era possibile, tali incontri, aggiunse nuovi incomodi e fatiche al suo corpo, camminando di notte o nelle ore di maggior caldo e, talvolta, nel tempo di pioggia. Nonostante questo artifizio, tutti, di ogni grado e condizione correvano a lui, attratti dal desiderio di udire qualche pio e santo insegnamento, di vederlo in estasi o in qualche rapimento meraviglioso (cosa molto comune a lui) di baciargli devotamente la mano e ricevere da lui la benedizione».
Il viaggio non mancò di avventure, come quelle narrateci ancora dal primo biografo: «Proseguendo dunque verso Andria ed essendone ancora abbastanza lontano si ammalò gravemente con febbre molto fastidiosa fra Lodovico, suo compagno, il quale non potendolo facilmente seguire, si rammaricava di dovere fermarsi. Giuseppe cercava di rincuorarlo, ma fra Lodovico, sopraffatto dalla forza della febbre che gli toglieva ogni vigore, protestava di non potere andare oltre, quando Giuseppe gli disse: «Sta di buon animo, fratello, e abbi fede nella gran Madre di Dio, ch’ella ti libererà dal male, affinchè possiamo compiere l’obbedienza»; rincuoratosi alquanto fra Ludovico, proseguì benché assai debolmente il cammino, ma giunto ad Andria dove si conserva una immagine di Nostra Signora molto miracolosa, tanto aumentò la febbre, da rendere impossibile il proseguire più oltre: ma conducendolo fra Giuseppe, benché difficilmente, avanti la santa immagine, e preso l’olio della lampada, lo segnò con esso la croce in fronte, e nello stesso istante la febbre lo lasciò, rimettendosi nello stesso tempo in forze, come se non avesse avuto alcun male.
Proseguendo il viaggio Giuseppe e Lodovico giunsero nei pressi di Conversano, ma vennero avvistati da alcuni ragazzi, che subito corsero in paese a darne notizia. Si adunarono gli abitanti per incontrarlo, ma conoscendo Giuseppe dalla mossa di quei fanciulli ciò che poteva seguire, non volle entrare, e girando dal di fuori e con passi solleciti, si diressero verso Castellana, patria di fra Ludovico suo compagno. Era già notte inoltrata quando si diressero al convento, e benché fra Ludovico bussasse molte volte e assai ben forte, non fu possibile anche con altri modi, farsi sentire, e perciò se ne andarono alla casa paterna di Fra Ludovico. Vi erano le luci accese e le finestre aperte e si sentiva il mormorio delle voci, ma nonostante le molte battiture date alla porta e le invocazioni di fra Ludovico, nessuno gli aprì, per cui Giuseppe disse al compagno: «Torniamo di nuovo in convento, che volendo Dio lì e non altrove abbiamo l’alloggiamento, troverà modo che vi possiamo entrare». Tornati al convento, il servo di Dio, toccando con le mani leggermente la porta, questa ad un tratto si aprì da se stessa per tutta la sua larghezza… il guardiano si meravigliò come mai fossero entrati, sapendo che egli la sera aveva serrato la porta…
Poiché Dio continuava a favorirlo di estasi e levitazioni, è facile immaginare l’entusiasmo dei confratelli e della folla che faceva ressa per vederlo e per assistere alla sua Messa.